sabato 16 gennaio 2010

TOUR DEL RWANDA


Niyonshuti, un simbolo del Rwanda che sogna.

Storie di sport, drammi e speranza dalla corsa africana che si è conclusa con il dominio dei corridori del Marocco

KIGALI (Rwanda), 24 novembre 2009
Come Parigi per il Tour de France. Un classico, un omaggio, un onore. L’apoteosi. L’ultima tappa del Tour of Rwanda finisce dov’è cominciato e dov’è passato e ripassato: davanti allo stadio di calcio e atletica Amahoro. Strapotere marocchino: tappa a Mouhcine Lahsaini davanti al tedesco Timo Scholz, vittoria finale ad Adil Jelloul davanti ad Abdelaati Saadoune e al rwandese Adrien Niyonshuti. Da Nyagatare a Kigali, fughe e controfughe finché Scholz, dopo 80 chilometri, poco più di metà strada, dà la botta. Lo segue e lo raggiunge Lahsaini. Ai -25 dal traguardo, li raggiungono Jelloul e Saadoune. Totale: tre marocchini su quattro e Scholz capisce che, se arriva secondo, c’è solo da esserne felici. Così va: Lahsaini attacca a due chilometri e mezzo dall’arrivo, Scholz non si muove subito per il timore di far arrabbiare gli altri, si muove solo all’ultimo chilometro, giusto per guadagnarsi il secondo posto. Il resto è statistiche.
Se per i marocchini ci sono stati applausi di circostanza, per Adrien Niyonshuti ovazioni di cuore. Terzo nella generale, primo nei gran premi della montagna, premiato anche come migliore fra i rwandesi e migliore fra i giovani (22 anni). E’ lui il simbolo del ciclismo del Rwanda: la sua foto con Lance Armstrong, ritratti insieme al Giro d’Irlanda, è diventata un’icona, un manifesto. Tutti i 12 corridori rwandesi, come tutto il popolo, sono segnati per sempre dalla guerra del 1994: in quell’olocausto, Adrien ha perso sei fratelli, Nathan Byukusenge il padre, Obed Ruvogera tre fratelli e due zii. Il 6 aprile 1994, quando cominciò il genocidio, i genitori di Rafiki Uwimana decisero di dividere la famiglia, insieme non si sarebbero sottratti agli assassinii, separati forse si sarebbero salvati. Rafiki, che aveva cinque anni, fu spedito da Kigali in un piccolo villaggio dell’est, con la nonna. Nel caos, poco tempo dopo si sparse la voce che Rafiki e la nonna fossero stati uccisi. La famiglia si riunì soltanto nel 1999, scoprendo che invece erano ancora vivi.

Oggi Rafiki e i suoi compagni hanno una strada, una sicurezza, un progetto - il Progetto Rwanda creato da Tom Ritchey e costruito da Jock Boyer -, anche uno stile. Ma non dimenticano, non possono dimenticare. Anche per questo, mentre tutte le squadre adottano camere a due, i rwandesi preferiscono stare insieme, almeno in tre o quattro per camera. Come per farsi forza, come per sentirsi uniti, come per non lasciarsi mai. E Nyandwi Uwase: quel 6 aprile abbandonò la scuola, aveva 10 anni, e non ci tornò più, cominciò a lavorare, tre anni dopo aveva messo insieme i soldi per acquistare una bici strausata, ma buona per fare da bici-taxi, lui davanti e il cliente dietro (le bici-taxi esistono sempre). Erano passaggi di pochi chilometri, ma di grandi rischi: Uwase trasportava gente dal Rwanda al Congo e dal Congo al Rwanda, guadagnava fino a settemila franchi rwandesi la settimana, meno di 10 euro, ma abbastanza per campare. E adesso Uwase abita sempre a Gisenyi, sul Lago Kivu, al confine con il Congo, però è riuscito a prendere in affitto una casetta, due stanze e pavimento in terra, non lontano dalla casa di sua madre.
bucumi maglia nera — Diario di bordo: ogni corridore della Nazionale del Marocco, che ha sbaragliato la classifica a squadre, riceve uno stipendio mensile pari a duemila euro, e da quando il re del Marocco, arrabbiato per gli scarsi risultati, li ha minacciati di non passare più alla cassa, Jelloul e gli altri vincono a ripetizione; Flavio Pasquino, l’olandese mezzo italiano, non è partito causa diarrea, notte insonne e una trentina di puntate in bagno, forse per colpa di una secchiata di acqua dagli spettatori; e il vecchio Charles - Charles Bucumi, burundese - ha consolidato il suo ultimissimo posto beccando anche oggi più di trequarti d’ora e portando il suo divario a una voragine di sei ore, 19 minuti e 42 secondi. Come dire che, rispetto a Jelloul, il vecchio Charles ha corso una tappa e mezza in più.

Dal sito della gazzetta dello Sport

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