mercoledì 12 settembre 2012

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Contro i ciclisti e l'uso della bici


12 lug 2012 — Giorgio Terruzzi

"Chi pedala, dietro il sorriso, trasuda odio, mastica rabbia, nutre vendetta". Ecco la lettera aperta di Giorgio Terruzzi, pubblicata su GQ di luglio, contro l'uso delle bici e contro le persone che le usano: siete d'accordo con lui?

Siete silenziosi. Siete ecologici. Siete sani. Siete presuntuosi. Siete maleducati. Siete pericolosi. Parlare male di voi è come fare il tifo per la Spal. Perdi di sicuro. Perché la bici abbina benessere e saggezza, qualità per chi pedala e per chi non lo fa ma dovrebbe, vuoi mettere? E giù una sfi lza di buonissimi motivi su cui guai a dire «ba». Belli e buoni. Civili e bravi. Al punto da trasformare una sgambata in fi losofi a, in una soluzione pulita, utile, persino necessaria. Quindi, poche balle, abbiamo a che fare con una minoranza intelligente che, anche per questo, la mette giù dura. Abbinando un fi lo di vittimismo a un fi lotto di abusi. Ma sì, dai: solo voi potete fi lare in contromano, senza remore o fanali; solo voi vi sentite autorizzati a scattare sul marciapiede, chissenefrega del pedone che esce dal portone; solo voi avete il diritto, anzi il dovere, di insultare chiunque metta piede in una pista ciclabile, che è vostra proprietà privata e basta, bastardo chi non lo sa. Perché il ciclista, dietro il sorriso compassionevole, sotto la fatica salutare, trasuda odio, mastica frustrazione, nutre una vendetta perenne, sempre pronta, fornita di un corredo di rivendicazioni lungo così. Se poi il tempo si guasta, piove, fa un freddo cane, la rabbia si scatena. Contro chi sta al caldo, al coperto in automobile, vale a dire dalla parte di un torto atavico, universale. Come se il vostro sacrifi cio fosse affrontato anche per me, che non capisco una mazza. Per me, inquinatore dell'aria che proprio voi respirate affannosamente; per me che vi costringo a perlustrare una città orripilante. Cara grazia che non mi metti sotto, magari con il passeggino monoposto a ruote lenticolari con all'interno il pupo-kamikaze agganciato a una bici da corsa, neanche fosse il rostro di una nave da battaglia. Ciclisti metropolitani e ciclisti extra urbani. Quelli della domenica, quelli che hanno la gamba, quelli che vanno via in gruppo come si fa al Giro d'Italia, gli altri tutti dietro e zitti, che se superi li offendi, li danneggi. In pericolo e pericolosi. Forse per questo visibili e inguardabili, con quelle maglie da Giro, appunto, colorate da uno stilista sotto anfetamina. Ma, dico, un blu scuro? Un sobrio tinta unita? Macché, per pedalare in periferia o in campagna pare sia obbligatorio indossare roba carnevalesca, tutta coperta da marchi di sponsor che dello sponsorizzato, peraltro, se ne sbattono, mai una lira, fi guriamoci. Come se un automobilista, per andare al mare, vestisse la tuta di Alonso, con le sue belle scritte. Niente, un festival del fucsia, del verdemela mixato giallo limone e oro, dell'arancio blu cobalto. Con il caschetto argento vivo. Con gli occhiali da Stelvio anche lungo il Po, con la spocchia di chi può occupare l'intera carreggiata, tanto se mi azzardo a infastidire arriva la "pula e fi nalmente mi sbatte in galera. A me, che guido la berlina e che, per questo, devo essere punito a prescindere, comunque, guarda un po'. Ciclisti, del resto, i veri fi ghi, gli unici. Quelli che mi indicano la via. E intanto, sulla via, fanno i padroni. Nel giusto solo loro, incompresi dentro un mondo di ingiustizie. Bravi. Grazie.

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